mercoledì 8 dicembre 2010

David Mamet e la "catastrophe" di Samuel Beckett

Il cast di Catastrophe


Scheda tecnica

Titolo: Catastrophe
Anno di produzione: 2000
Regia di: David Mamet
Con:
Harold Pinter
Rebecca Pidgeon
John Gielgud
Produttori: Michael Colgan, Alan Moloney
Tratto da: Catastrophe (Samuel Beckett)
Direttore della fotografia: Seamus Deasy
Montaggio: Barbara Tulliver
Durata: 5’ 43’’
Immagine: Colore
Lingua: Inglese
Location: Wilton’s Music Hall - Londra

Mamet's Catastrophe

    Il film che è stato analizzato è adattato da una famosa opera teatrale di Samuel Beckett e la mancanza di uno specifico sceneggiatore cinematografico ci fa intendere che David Mamet, noto drammaturgo statunitense, abbia deciso di lavorare direttamente sul testo dello stesso Beckett, anche perché il lavoro è stato eseguito su commissione nell’ambito di un progetto nel quale sono state messe in scena tutte le opere del drammaturgo irlandese, progetto teso ad esaltare e celebrare direttamente le capacità d’innovazione dell’autore di Catastrophe.
    L’aspetto letterario, che generalmente viene considerato in maniera a se stante sia dal punto di vista produttivo che dal punto di vista analitico, è inglobato in quello che sarà il III capitolo di questo elaborato nel quale è posto a diretto confronto con l’immagine e il suono del film. Non per vezzo, quindi, ma per rigore procedurale, anche perché si andrà a considerare un metodo ed un linguaggio (quello teatrale, ed in particolare quello del teatro dell’assurdo) che si distingue dal linguaggio  cinematografico.

L’immagine della Catastrofe.

    Nonostante  la durata esigua, il film annovera al suo interno una grande quantità di peculiarità, studiate con cura. Sin dall’inizio riusciamo a creare i rapporti sociali che intercorrono tra le tre figure principali, l’assistente, il regista e il protagonista di ciò che riusciamo a definire come piece teatrale, Infatti ricorrendo alle possibilità che la PdC, il regista mette in relazione l'assistente con il regista teatrale tenendoli in campo ma mettendo a fuoco l’antepiano (porzione del quadro nel quale si trova R.) e mantenendola anche quando a parlare è A. Lo stesso carrello (della durata di 40’’) ci da la possibilità di scoprire il luogo in culi l’azione si svolge, cioè un vecchio teatro rendendo la comprensione totale molto semplice, dal punto di vista dello spettatore. Anche P. si trova ad essere sfocato in retropiano a inquadrato volutamente senza essere incluso nel quadro secondo quelle che sono le regole classiche della ripresa cinematografica, infatti viene spesso “decapitato” o relegato ad una piccola parte del fotogramma rendendo così l’immagine  squilibrata.  
    Il film è caratterizzato a livello visivo da una desaturazione, pressoché totale, del colore che come risultante porta ad avere una dominate delle scale di grigio a discapito del colore dell’incarnato degli attori e del legno che compone i palchi e le sedute che, con la loro fattura ed il loro stile, ci portano a poter inquadrare anche un periodo storico cioè i tardi anni sessanta ovviamente un aiuto importante per datare l’epoca della diegesi ci viene dato anche dall'abbigliamento degli attori stessi. La temperatura fredda dell’illuminazione ci permette di poter caratterizzare ulteriormente la situazione emotiva della diegesi stessa. Infatti i personaggi sono caratterizzati da una pesante sobrietà anche negli atteggiamenti e nella postura, solo R. presenta una parte di spavalderia legata al ruolo stesso da lui interpretato nella realtà filmica e legato a dei luoghi comuni che più tardi ci permetteranno di analizzarlo dal punto di vista semiotico.

La catastrofe non prevede musica.

    Uno degli aspetti preponderati della colonna sonora è la totale assenza di musica, infatti nulla di diegetico o extradiegetico turba il silenzio nel quale è immerso le sequenze si susseguono incalzanti. Solo le parole pronunciate dai personaggi rompono l’uniformità della scena sonora, parole che hanno un ricco bouquet di volumi e altezze onore, anche perché proprio questi elementi costituiscono, insieme alle numerose pause naturali o indotte, una “musica” che con le sue ripetizioni ricorda molto l’estetica artistica degli anni in cui Beckett scrisse l’opera.
    Gli unici suoni oltre alle parole sono derivanti dalle azioni, nulla di volutamente estraneo. Ciò che si sente è un sonoro scarno e rigido. Il sonoro dei dialoghi è legato alle leggi della spazialità ma anche legato alla soggettività dello sguardo in quel determinato momento, quindi, ci sono alcuni momenti in cui le frasi risultano volutamente meno intelligibili. 

Il dito puntato sulla catastrofe.

    Un altro aspetto, la cui analisi è stata inserita in questo capitolo per questioni di correlazione con il testo originario, è la struttura che regge il film. Per rinvenirla e renderla ben delineata, oltre all’osservazione sono stati applicati i concetti di immagine-percezione e immagine-azione, ottenendo così una struttura suddivisa in due parti, la prima (immagine-percezione) coincide con una sorta di osservazione da parte di R. del lavoro messo in pratica da A., quindi una serie di dialoghi tesi a capire cosa fosse stato fatto e perché, la seconda parte (immagine-azione, che parte dal minuto 1:28) è caratterizzata da A. utilizzata per apportare cambiamenti alla realizzazione artistica. A sostegno del modello di struttura rinvenuto, si introduce anche un aspetto della tematica centrale dell’opera di Beckett, infatti avrebbe scritto questo atto unico per criticare il potere utilizzato per censurare e revisionare, come accade nel film R. smonta una dopo l’altra tutti gli aspetti della realizzazione di A. per poi costringerla ad attuare dei cambiamenti che sovvertiranno totalmente il suo lavoro. Quindi due momenti nella narrazione. In fine, si può anche denotare un inquadratura che, secondo quanto si può denotare dal testo, è di grande rilevanza per la comprensione di un altro livello nella narrazione, cioè il primo piano del protagonista dell’opera messa in scena nel film, in quel piano l’anziano attore viene per la prima ed unica volta ripreso in volto mentre alza lo sguardo e fissa il pubblico ipotetico della sala, ma non il pubblico del film perché ripreso di trequarti (secondo Deleuze immagine-affezione). Secondo l’interpretazione usuale dovrebbe essere un ulteriore livello di sfruttamento. La persona che non è esistita fino a quel momento, non solo è il cento dell’attenzione ma guarda dritto negli occhi le persone che gradualmente smettono di battere le mani. Ma la realizzazione cinematografica rende meno impattante questa ultima inquadratura, come per sminuirne l’importanza, perché P. non guarda in macchina il che rende tutto come una fredda osservazione quasi nuovamente immagine-percezione.
     Per continuare nella descrizione dell’analisi bisogna infine ricordare il perché Beckett scrisse quest’opera. Egli fu invitato a farlo per protestare contro l’arresto  di Vaclav Havel, quindi per la prima volta una ricerca diversa stimolava il suo lavoro. La protesta messa in atto con “Catastrophe” può anche essere alla base dei due cambiamenti apportati nel film da Mamet. Egli modifica due azioni per comunicare qualcosa in più o per rendere più fruibile il risultato finale. La prima è il piccolo gesto routinario che avviene tra R. ed A., nel testo scritto da Beckett, R. che sta fumando un sigaro lo accende più volte chiedendo ad A. l’accendino (o qualcosa per accendere) mentre nel film R. ha bisogno di leggere meglio nel suo notes e di conseguenza chiede spesso ad A. una piccola lampadina tascabile, tutto questo semplicemente giocando sul temine inglese che può assumere diversi significati ma nello specifico luce o fuoco cioè light. La seconda differenza la troviamo nella scena in cui per trovare cosa non va, A. sposta la mano di P. che nel testo originale andrà ad unirsi con l’altra mentre nella realizzazione cinematografica si preferirà optare nel puntare il dito della stessa mano tutto il resto rimane invariato, cambia solo ciò che è stato detto prima, il che a prima vista può risultare insignificante ma che dal punto di vista interpretativo può voler trasmettere più incisivamente l’idea della protesta che sta alla base del lavoro.
    Un altro elemento molto importante all’interno della realizzazione originaria del lavoro che di conseguenza è messa in atto anche nel film è la presenza di una meta-riflessione, il teatro preso come esempio per il rapporto tra un potere e chi subisce lo stesso che può essere interpretato anche come critica o semplice riflessione sulla figura del regista teatrale che, infatti, di li a poco sarebbe cambiata per lasciare più spazio all’improvvisazione o alla regia collettiva. Ma l’auto riflessione è anche alla base della riflessione Deleuziana sull’immagine-cristallo ed il suo relativo virtuale che in questo caso serve proprio a mostrare, anzi a far sovvenire, in colui che guarda il film, tutto ciò che è collegato alle immagini stesse sarebbe a dire tutta la riflessione che c’è stata sopra sui possibili significati e le possibili immagini che la mente produce quando osserva quelle del film.

    Il film che è stato realizzato da David Mamet sul lavoro di Samuel Beckett se osservato senza considerare il testo originale può essere considerato un buon lavoro ben calibrato e realizzato, se invece si guarda considerando il punto di vista di Beckett può peccare di presunzione per aver, a mio parere, voluto lasciale il suo segno ad ogni costo, senza rispettare debitamente alcuni elementi essenziali nella scrittura di Beckett.

Carmelo Vazzana

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